Oggi sono 111 giorni che ignoriamo le proteste contro il governo filorusso del popolo georgiano
L’errore lo abbiamo già fatto nel 2013 con il famoso Maidan di Kyiv. Se l’ex presidente Yanukovich non avesse ordinato di sparare sui dimostranti e se il popolo ucraino non fosse stato così coraggioso da ribellarsi a questa esecuzione di massa, oggi non avremmo aperto ancora gli occhi sul mondo, sulla russia e sui suoi piani imperialisti. Anche con la Georgia restiamo alla finestra in silenzio, in attesa dei primi colpi. Perchè statene pur certi, prima o poi arriveranno.
111 giorni di proteste in Georgia
Da centoundici giorni, ovvero dalle elezioni farsa che hanno visto vincitore il partito Sogno (incubo) Georgiano, il popolo democratico della Georgia riempie le strade di Tbilisi, ma a nessuno qui da noi sembra importare granchè.
E questa è una nostra colpa criminale. Vabbene ci sono state tante cose in mezzo, c’è stata la Romania, c’è stato Trump, c’è stata la manifestazione di Roma. E c’è sempre l’Ucraina.
Ma tutte queste cose sono legate insieme, l’Ucraina stessa è una tematica di queste proteste, l’Europa è presente nelle parole e nei desideri dei manifestanti che chiedono, invano, un distacco del loro governo dalla russia. Ma Incubo Georgiano è lì proprio per il contrario, è lì per integrare quel che resta della Georgia libera nella sfera d’influenza del cremlino, proprio come le due repubbliche fantoccio Abkhazia e Ossezia del Sud, territori georgiani de facto sotto il controllo di mosca.
Le conseguenze dell’aver ignorato il Maidan ucraino le stiamo pagando tutte ora e con gli interessi. Le stanno pagando in modo infinitamente maggiore gli ucraini che per otto anni, prima del 24 Febbraio 2022, hanno provato in tutti i modi a chiederci un aiuto per ripristinare la loro integrità territoriale e la loro sovranità contro una russia sempre più aggressiva. Non fare niente oggi per la Georgia si trasformerà in una condanna certa per la sua gente, a meno di non fermare ed annientare in tempi brevi la russia, rendendola inoffensiva. Vogliamo che anche loro subiscano un’altra invasione e un’altra guerra? Perchè se chiuderemo gli occhi su Tbilisi questo sarà il percorso già tracciato verso la rovina.
La piazza dell'Europa
Ogni giorno a Tbilisi c’è una piazza per l’Europa, non solamente una ogni tanto così a caso. La loro è una questione vitale, la ricerca di un futuro. Mentre noi ci dividiamo su che tipo di Europa vogliamo e mentre qualcuno non si è ancora accorto che l’Europa unita è già realtà da almeno trent’anni, i georgiani sanno benissimo quale strada vogliono intraprendere. Come lo sanno benissimo tutti quei popoli che negli anni sono stati soggiogati dall’influenza russa.
Vogliono un’Europa forte, vogliono un’Europa che sappia difendere quello in cui crediamo: nella pace, nella democrazia e nella libertà. E sì, anche con le armi all’occorrenza. E, soprattutto, vogliono essere parte dell’Europa.
E non c’è in Georgia nessun balletto sui vessilli da portare in piazza. Non si discute quale simbolo possa essere più o meno sconveniente o quale bandiera possa urtare la sensibilità di qualche piangina pacifista, la discussone su queste bazzecole lì non c’è. Le bandiere sono tre e tutte legate indissolubilmente l’una all’altra: quella georgiana, quella ucraina e quella dell’Unione Europea. Queste tre bandiere oggi sono il simbolo di una nuova Europa, il simbolo di una nuova libertà e di una nuova pace ancora tutte da conquistare. Pensare che queste tre bandiere possano essere divise è folle. Pensare che ci possa essere una manifestazione europeista senza uno di questi tre simboli significa essere fuori dal tempo ed in ritardo sulla storia che si sta scrivendo.
Ucraina e Georgia incarnano lo spirito europeo che noi spesso fatichiamo a ricordare e a celebrare, sono le due stelle mancanti alla nostra bandiera. Loro più di tutti oggi meritano il nostro appoggio incondizionato e meritano da parte nostra un ascolto profondo delle loro richieste e delle loro motivazioni.
Ma da dove cominciare? Anzitutto introducendo immediatamente pesanti sanzioni mirate ai responsabili del governo filorusso. Se ne è parlato all’indomani delle elezioni farsa, ma poi i soliti veti degli infiltrati di mosca in Commissione UE (Slovacchia e Ungheria) hanno bloccato il procedimento. Per ora si è solo annullata la semplificazione di rilascio di visti diplomatici a funzionari governativi georgiani, poca, pochissima roba. Seconda cosa da fare: riprendere e ampliare il dialogo con l’opposizione e dar loro strumenti diplomatici e risorse per creare una rete di influenza europeista e democratica all’interno del paese. Insomma, non lasciare in mano il pallino del gioco a Incubo Georgiano. Ho semplificato, e di molto, ma la strada è quella. Non perdiamo tempo, non voltiamoci ancora dall’altra parte.
Rimane però un fatto: oggi sono centoundici giorni di proteste in Georgia, centoundici giorni che ignoriamo la gente di Tbilisi, proprio come abbiamo fatto per anni con gli ucraini. Il fuoco, sotto sotto, sta bruciando, manca solo la scintilla per far divampare l’incendio. Sarebbe bello, almeno per una volta, che una democrazia rinnovata in Georgia non nascesse dalle macerie, ma da una volontà politica e popolare. E noi europei abbiamo sia gli strumenti che i mezzi per dare una mano ed essere decisivi.
Un’Europa forte è anche un’Europa con degli ideali. Il nostro concetto di Europa nacque dopo dopo la sconfitta del nazifascismo, dopo anni di divisioni, di feroce occupazione e di barbarie. Noi oggi non siamo più in grado di trasmettere quei sentimenti che si sono anestetizzati in ottant’anni di pace e benessere. E’ il momento di farci insegnare dagli altri cosa vuol dire lottare per la propria libertà. E’ il momento di ascoltare e di non voltarsi dall’altra parte, è il momento di far rinascere una nuova Europa, non solo economica, ma anche un’Europa dei valori. Ed un’Europa così non può prescindere da Ucraina e Georgia.
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